Impotenza appresa: ricadute sul rendimento scolastico

L’impotenza appresa ha origine nell’infanzia :  caregiver inaffidabili o insensibili possono contribuire a questi sentimenti.

Quando i bambini hanno bisogno di aiuto ma nessuno viene  loro incontro, è possibile che abbiano la sensazione che nulla di ciò che faranno cambierà la loro situazione.

Martin Seligman, considerato il fondatore della psicologia positiva, è stato tra i primi a studiare l’impotenza appresa e darne una definizione. A volte si può “apprendere” che la situazione non si può controllare e si ha l’idea che l’esito non dipenda da noi stessi, con la conseguenza che non si prova nemmeno più ad affrontarla.

Questa sensazione di non poter farci nulla, il credere che gli eventi accadano senza poter esercitare un controllo, determina il nome “impotenza” ed è una sensazione che genera frustrazione.

Un ragazzo che, in seguito ad una serie di brutti voti, pensa che non valga più la pena studiare, esercitarsi e impegnarsi, perché crede che tanto non servirà a nulla, si convince che non ce la farà. L‘impotenza appresa può colpire tutti gli studenti, ma è spesso presente in alunni con DSA o altre difficoltà di apprendimento.

 

Cosa possono fare gli insegnanti?

L’obiettivo è quello di stimolare la riflessione circa il rendimento scolastico di tali studenti, interrogandosi sulla possibilità di cambiare le percezioni di sé, rafforzare la loro fiducia, aiutare gli studenti a formare percezioni di sé accurate e ottimistiche e al tempo stesso, evitare che le loro basse percezioni scolastiche influiscano negativamente sul loro lavoro. Di fronte a ragazzi che presentano difficoltà nello studio, prestare maggiore attenzione ai risultati positivi, cercando di dare meno importanza a quelli negativi e fornire rinforzi e gratificazioni. È importante impegnare il soggetto in attività per lui piacevoli e che può padroneggiare per poter sperimentare il successo.

E i genitori cosa possono fare?

Troppo spesso queste difficoltà vengono ignorate o rifiutate, perché si pensa che un disturbo dell’apprendimento sia una malattia o un ritardo mentale. Questo andrà solo a rafforzare i sentimenti di impotenza del bambino oltre che di solitudine, perché affronta un problema che i genitori respingono e quindi, di fatto, il bambino si deve arrangiare da solo come meglio può.

Al contrario un intervento precoce dei genitori, può far un’immensa differenza. I genitori dovrebbero fare attenzione a non usare una fraseologia negativa come generalizzare “Non ottieni mai buoni voti”, o catastrofizzare, dovrebbero invece rendere il proprio figlio più autonomo. Evitare la comparazione con altri fratelli o compagni di classe. Prestare attenzione a tutti quei comportamenti relativi alle attività scolastiche, cominciando da quelli di minima entità, lodandoli adeguatamente. Sembra banale, ma è importante anche dare il giusto significato agli errori che il bambino scolasticamente può commettere.

L’errore non va certo giustificato, ma considerato un aspetto essenziale della crescita e dell’apprendimento.

Autrice:  Marisa De Domenico – Psicologa  Esperta in Orientamento Scolastico e D.S.A.

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