Malattia Simulata, Apprendimento Interrotto: L’Impatto Scolastico della Sindrome di Münchhausen per Procura

La sindrome di Münchhausen per procura è una forma complessa e insidiosa di abuso psicologico e fisico.

Sindrome di  Münchausen : perchè si chiama così?

 Il Barone di Münchausen è un personaggio realmente esistito nel XVIII secolo e reso celebre dai racconti romanzati pubblicati da Rudolf Erich Raspe. Il Barone era noto per raccontare storie straordinarie e inverosimili sulle proprie imprese.  l termine “sindrome di Münchausen” venne usato in ambito medico, per indicare quei pazienti che simulano malattie o si provocano sintomi per attirare l’attenzione medica. La variante “per procura” è  più grave poichè la persona in questione  non simula malattie su sé stessa, ma le induce o le simula su un’altra persona, solitamente un figlio, per ottenere attenzione, compassione e ammirazione come “genitore devoto”.

Dunque, a differenza di altri abusi più visibili, questo agisce nell’ombra, camuffandosi dietro gesti di apparente premura e attenzione. Chi la mette in atto, solitamente un genitore – spesso la madre –finge o provoca deliberatamente dei sintomi nel proprio figlio, facendolo passare per malato.

Ma perché? Non per ottenere vantaggi materiali, come accade in altri casi, bensì per ottenere attenzione
e riconoscimento. Il genitore appare come devoto, instancabile, pronto a tutto per il bene del figlio “malato”, e in questo ruolo riceve spesso compassione, ammirazione, rispetto. Dietro questa facciata però, c’è una volontà precisa: usare il bambino per soddisfare un bisogno personale. Il
bambino, da parte sua, è la vera vittima: vive in un costante stato di confusione, paura, dolore e
dipendenza. Non può capire perché sta male, o perché viene curato per qualcosa che non ha. A volte finisce per credere di essere realmente malato, altre si ribella ma viene zittito o ignorato. Tra gli effetti più subdoli della sindrome c’è quello che possiamo chiamare effetto scolastico indiretto.
Anche se la scuola non è il luogo in cui l’abuso avviene, ne risente in maniera evidente. Un bambino sottoposto a questa sindrome può trascorrere moltissimo tempo fuori dalla scuola: visite mediche frequenti, ricoveri ospedalieri, periodi di presunto riposo a casa. Tutto questo interrompe la
continuità educativa, con evidenti difficoltà di apprendimento.

Le lacune si accumulano, e il bambino fatica a stare al passo con la classe. Il bambino impara a definirsi attraverso la malattia,
anche se questa è inventata o indotta. In aula, potrebbe evitare il gioco, l’attività fisica, o addirittura cercare inconsciamente di mantenere l’identità di “malato” anche con i compagni e gli insegnanti.


Questo lo isola, lo rende diverso. L’idea di essere fragile o bisognoso diventa parte di sé, e può
influenzare anche il modo in cui apprende o si relaziona. Essere costantemente al centro di pratiche
mediche invasive o di raccomandazioni che lo trattano come malato può generare disturbi d’ansia,
depressione, ritiro sociale, o comportamenti oppositivi. Il bambino può diventare apatico,
aggressivo o estremamente dipendente dagli adulti. Tutto questo compromette la sua capacità di
integrarsi e di vivere con serenità l’esperienza scolastica. Un altro effetto drammatico è che questi
bambini imparano a non fidarsi delle proprie percezioni. Se il proprio corpo dice che stanno bene,
ma l’adulto di riferimento insiste che sono malati, la confusione cresce. Questo può riflettersi anche
nello studio: si sentono insicuri, indecisi, incapaci di leggere correttamente la realtà, di esprimere
opinioni, di fidarsi delle proprie intuizioni.

La scuola come sentinella silenziosa
In molti casi, la scuola rappresenta l’unico spazio “neutro” in cui il bambino può mostrare segnali di
disagio. Gli insegnanti, i compagni, i collaboratori scolastici, tutti possono diventare osservatori
attenti. A volte sono proprio loro i primi ad accorgersi che qualcosa non va. Quando un bambino
mostra un quadro incoerente – frequenti malattie senza diagnosi chiare, difficoltà emotive,
isolamento, racconti strani o contraddittori sulla sua salute – è fondamentale non banalizzare, ma
anche non giudicare troppo in fretta. Serve attenzione, empatia, e soprattutto la capacità di attivare
gli strumenti giusti: il confronto con il dirigente scolastico, l’intervento di psicologi scolastici, o in
casi estremi la segnalazione ai servizi sociali.

Conclusione
La sindrome di Münchhausen per procura è un dramma che si consuma nel silenzio, ma lascia segni
profondi nella psiche e nella vita di chi la subisce. Il bambino coinvolto non è solo una vittima
fisica: è un bambino a cui viene rubata l’infanzia, la libertà, la fiducia in se stesso e nel mondo.
L’ambiente scolastico, se attento, può essere uno dei pochi luoghi in cui la verità può iniziare ad
emergere. Capire questo disturbo e i suoi effetti indiretti significa anche riconoscere che la salute di
un bambino non riguarda solo il corpo, ma anche la mente, il cuore, le relazioni, la possibilità di
apprendere e crescere liberamente. Il problema della sindrome di Münchhausen per procura non può
essere risolto da un singolo attore. È necessaria una risposta di rete: familiare, educativa, sanitaria e
sociale. Serve un patto di fiducia tra scuola, servizi e, se possibile, la stessa famiglia. Ma quando il
genitore è la fonte del danno, occorre saper proteggere il minore senza esitazioni, anche contro
l’apparente “cura” di chi gli sta vicino. Questa sindrome ci interroga anche su qualcosa di più
ampio: quanto sappiamo ascoltare davvero i bambini? Quanto spazio diamo alla loro voce, alla loro
percezione, al loro diritto di essere sani, liberi, autonomi?Anche dopo un’esperienza così
traumatica, la ricostruzione è possibile. Ma richiede tempo, pazienza e relazioni sane.

Il bambino ha bisogno di adulti affidabili, che lo guardino non come un malato da curare, ma come un individuo
da accompagnare. Serve restituirgli il diritto a stare bene senza sensi di colpa, a essere ascoltato
senza essere manipolato, a imparare, giocare, vivere senza il filtro della malattia fittizia. In questo
senso, ogni insegnante, ogni educatore, ogni compagno può essere una piccola luce nel buio. Ogni
gesto di ascolto autentico, di rispetto, di incoraggiamento è un passo nella direzione della
guarigione.

Autrice : Marisa De Domenico –  Psicologa esperta in orientamento scolastico e DSA