Neuroscienze cognitive della musica e neurobiologia dell’esperienza relazionale

Gli Africani dell’Africa del sud parlano di UBUNTU che significa “io esisto perché mi
vedo attraverso te”. In altre parole, è tramite la mia esperienza di me stesso attraverso l’altro
che ho il senso di essere vivo. Tuttavia per poter sperimentare me stesso attraverso l’altro,
ho bisogno di sapere in che modo loro sperimentano me (…) è attraverso l’altro che so di
esistere; l’altro mi aiuta a definire la mia realtà”
(Pavlicevic, 1997)


Le neuroscienze cognitive della musica sono oggi in grado di spiegare e di mostrare come la musica coinvolga il cervello in maniera globale e integrata.
L’apprendimento musicale comporta la formazione di nuove connessioni audiovisuomotorie e un coinvolgimento e una stimolazione multisensoriale, oltre che un aumento di volume di alcune strutture cerebrali, in particolare: il corpo calloso, la corteccia motoria e uditiva e il cervelletto (Proverbio, 2019).


Non solo: la musica può essere utilizzata per sviluppare vie inedite di collegamento che eludono regioni e/o circuiti cerebrali disfunzionali a causa di lesioni o altre condizioni.

Un esempio concreto è rappresentato dal trattamento di pazienti con afasia di Broca, trattati con una terapia intensiva di intonazione melodica, che hanno mostrato un sostanziale aumento di connettività (materia bianca) a livello del fascicolo arcuato (ibidem).
Sebbene tutte le parti costituenti del cervello contribuiscano al suo buon funzionamento, alcune regioni hanno un ruolo di integrazione fra le varie funzioni, maggiore di altre.
Queste regioni risultano essere, in particolare:
-Aree limbiche (con particolare riferimento all’ippocampo)
-Aree prefrontali
-Corpo calloso
-Cervelletto

 

Neuroscienze cognitive e musica: aree cerebrali coinvolte


Quando il cervello collega i suoi circuiti differenziati, il sistema nervoso acquisisce omeostasi e nuovi livelli di complessità nelle sue funzioni’ (Siegel,2013). Le aree coinvolte negli effetti neuroplastici della musica sono senza dubbio molteplici; in particolar modo sembrano essere maggiormente interessate proprio le regioni fronto-temporali, il sistema limbico, il corpo calloso e il cervelletto.


In sintesi, le aree che svolgono un ruolo integrativo maggiore coincidono, non a caso, anche con quelle maggiormente coinvolte negli effetti neuroplastici della musica.
Questa evidenza apre innumerevoli prospettive rispetto all’utilizzo della musica in ambito terapeutico, soprattutto se si evidenzia il fondamentale ruolo dell’integrazione neurale per l’autoregolazione dell’individuo e la loro stretta correlazione.


Relazioni interpersonali positive producono integrazione,  mentre esperienze di attaccamento negative inibiscono i processi di integrazione nell’infanzia e compromettono, di conseguenza, lo sviluppo dell’autoregolazione.
Una compromissione dell’integrazione neurale si può riscontrare anche in disturbi e condizioni di origine non esperienziale come l’autismo.
L’autoregolazione deriva dunque dall’integrazione ed è strettamente connessa alla modulazione delle emozioni, competenza che si sviluppa all’interno di una cornice relazionale.

 

Conclusioni


Grazie alle ricerche portate avanti dalle neuroscienze cognitive della musica,


siamo oggi in grado di affermare che la musica possa favorire lo sviluppo di capacità integrative e

della competenza di modulazione delle emozioni. In particolare, la natura intrinsecamente relazionale della musicoterapia la rende un terreno estremamente fertile per adempire a questi scopi.

 

Autrice :  Concetta Maccarrone – Psicologa e Musicoterapeuta, Tecnico ABA

 

 

Bibliografia

 

Pavlicevic, Mercedes. 1997. Music Therapy in Context: Music, Meaning and
Relationship. Londra : Jessica Kingsley, 1997

Proverbio, Alice Mado. 2019. Neuroscienze cognitive della musica. s.l. :
Zanichelli, 2019

SIegel, Daniel J. 2013. La mente relazionale. Neurobiologia dell’esperienza
interpersonale. s.l. : Raffaello Cortina, 2013

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