LO SVILUPPO DELL’EMPATIA VISTO ATTRAVERSO QUATTRO STUDI

L’empatia è intesa come la capacità che permette all’essere umano di percepire lo stato d’animo degli individui con i quali si entra in contatto. È una delle capacità cardine che guida la vita di qualsiasi individuo e proprio per questo è stata oggetto di vari studi. Tanti studiosi hanno dato diverse interpretazioni del termine, così come altrettante sono le teorie legate allo sviluppo di tale capacità.

Lo psicologo Martin Hoffman ha proposto delle argomentazioni relative all’universalità dell’empatia, facendo riferimento alla teoria dell’evoluzione e ipotizzando che l’emozione empatica abbia una base fisiologica, costituita dal sistema limbico.

Il sistema limbico è costituito da una serie di strutture situate tra il tronco encefalico, filogeneticamente più antico e presente anche nei rettili, e la corteccia prefrontale. Il nome di questo sistema deriva dalla parola “limbus”, cioè anello. Anatomicamente il sistema limbico è suddiviso in telencefalo e diencefalo: il diencefalo comprende talamo, ipotalamo e ipofisi; il telencefalo invece comprende amigdala, ippocampo e corteccia prefrontale. Studi recenti, del 2012, hanno determinato precisamente l’area del cervello relativa all’empatia: si tratta della corteccia insulare anteriore.

La ricerca è stata condotta da Xiaiosi Gu presso il Dipartimento di Psichiatria della Mount Sinai University di New York.

I risultati degli studi empirici hanno dimostrato che persone aventi lesioni nell’area insulare anteriore presentano difficoltà nel valutare gli stati emotivi altrui.

Per quanto riguarda lo sviluppo dell’empatia, vari autori hanno contribuito, realizzando diversi modelli.

Il primo modello di particolare importanza è quello della psicologa americana Norma Feshbach, che ha creato per la prima volta un modello multidimensionale di empatia. Il merito di questa autrice sta nell’aver sviluppato un modello che attribuisce all’empatia un carattere multidimensionale che integra processi cognitivi e affettivi.

La Feshbach elabora un modello dell’empatia a tre componenti che coincidono con tre abilità e che generano comportamenti empatici se svolgono un’azione integrata.

Le tre componenti sono:

  • capacità di decodificare gli stati emotivi vissuti da altre persone, cioè quella capacità che permette di utilizzare le informazioni utili per riconoscere e discriminare i sentimenti;
  • capacità di assumere il ruolo e la prospettiva di un altro, cioè la capacità di comprendere il punto di vista degli altri;
  • capacità di rispondere affettivamente alle emozioni provate da un’altra persona, cioè la capacità di saper condividere lo stato emotivo degli altri.

 

Le prime due capacità rientrano all’interno delle abilità cognitive, la terza invece fa riferimento ad abilità che rientrano nell’area affettiva ed emozionale.Prima dei 5-6 anni il bambino non sarebbe in grado di mostrare empatia perché questa capacità richiede abilità cognitive molto sofisticate e complesse.

https://www.paroleinsieme.it/empatia-larte-comprendere-le-emozioni/

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Il secondo autore ad elaborare un modello sullo sviluppo dell’empatia è Martin Hoffman, che amplia la definizione di empatia ad una serie di reazioni affettive, collocando le prime manifestazioni addirittura nei primi giorni di vita.

Non considera l’empatia come unitaria, ma viene articolata in più forme che, andando avanti con lo sviluppo, diventano sempre più sofisticate e mature. Hoffman, partendo dalle forme primitive ed involontarie di comportamenti empatici delinea le tappe evolutive, individuando diverse modalità di creazione dell’attivazione empatica che vanno da forme involontarie e automatiche a forme sofisticate e mediate dalla componente cognitiva; anche se ritiene che la maggior parte delle modalità di attivazione empatica sia involontaria.

Definisce cinque tappe dello sviluppo dell’attivazione empatica: distress empatico globale, distress empatico egocentrico, distress empatico quasi egocentrico, vera empatia per lo stato di una persona, empatia oltre la situazione. Dalla prima tappa in cui l’empatia si mostra come una reazione affettiva automatica ed involontaria, corrispondente al contagio emotivo, si arriva all’ultima tappa quando, verso i 9 anni, i bambini sviluppano un senso del sé stabile e coerente e comprendono ancora di più il fatto che anche gli altri individui hanno una loro identità che influenza i loro comportamenti nelle varie situazioni che si presentano. A partire da questo momento, la conoscenza delle vite degli altri e delle loro esperienze influenzano le risposte empatiche. Vista la complessità dei meccanismi cognitivi implicati, l’acquisizione di questa forma di empatia avviene in maniera graduale e trova pieno compimento verso i 13 anni quando si sviluppa il pensiero formale e si consolida l’identità.

Un’altra autrice che ha parlato dello sviluppo dell’empatia è Janet Strayer che, prendendo spunto dalle teorie di Hoffman, ha verificato empiricamente le proprie argomentazioni. L’autrice non si sofferma sulle manifestazioni che avvengono nei primi anni di vita, ma individua due forme di empatia vera e propria: una per condivisione parallela e l’altra per condivisione partecipatoria; il passaggio da una forma all’altra avviene in età prescolare e si prolunga fino alla prima adolescenza, dove trova completamento. La prima forma di empatia, per condivisione parallela, è regolata da processi cognitivi semplici e poco sofisticati, in questa prima fase l’attenzione viene posta sull’evento che interessa l’alto e richiama alla mente esperienze simili, in modo da rivivere l’emozione provata durante quella determinata occasione. La seconda forma, per condivisione partecipatoria, è la forma di empatia più evoluta e mediata da processi cognitivi molto sofisticati. Secondo l’autrice è tra i 7 e i 12 anni che i bambini acquisiscono la capacità di condividere l’emozione vissuta dall’altro, focalizzando l’attenzione sul vissuto interno di quelli che osservano e comprendendo che l’altro sperimenta emozioni diverse in circostanze uguali.

L’ultimo modello che viene preso in esame per quanto riguarda lo sviluppo dell’empatia è il modello di Vreeke e Van der Mark, i quali sostengono che nel processo empatico rientri anche il contesto comunicativo in cui evolve la risposta empatica. L’empatia è vista come risposta ad una specifica richiesta, che è collocabile entro un particolare contesto comunicativo e dipende da quattro fattori: fattori di personalità, fattori relazionali, doppio sistema di controllo-giudizi e regolazione delle emozioni, componenti psicologiche empatiche. Gli autori vedono l’empatia come una risposta comportamentale ed emotiva adeguata ai bisogni altrui e il contesto comunicativo gioca un ruolo importante nella regolazione e nel mantenimento o cambiamento delle risposte empatiche.

Autrice: Maria Rita Panepinto, Dott.ssa in Discipline Psicosociali

Un commento

  1. Gianni Trianni

    Mi è stato utile dottoressa grazie e chissà quante persone migliorano anche giovani che non hanno fatto scuole superiori o come me che anche ha 44 anni ho iniziato ha essere più aperto con gli altri e più consapevole di me e nelle varie circostanze perché io ho avuto 27 anni fa un blocco mentale ma mi disse il dottore una volta sbloccato che l organo
    e sano io con il tempo ho riflettuto ne ho passate ,finalmente c e stata la guarigione dopo tre anni oggi mi ricordo anche momenti della infanzia ero vivace ma responzabile non sono stato un ragazzino triste i miei amici sia a scuola che quando uscivo per dire il pomerigio erano fiduciosi di me un giovane ancora oggi mi ha detto che era meglio quando andava a scuola con me poi gli anni passano scusa dott se mi sono prolungato nel discorso ammiro tutti i dottori che svolgono l aiuto necessario in
    caso mai ha bisogno io sono con mi madre il padre mi manca da 29 anni fa cerco di tenere sempre un buon equilibrio e di aver quanto meno vizi ultimamente ho iniziato un percorso personale spirituale ma poi sempre essendo altrista buona sera dottoressa grazie

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