MUTISMO SELETTIVO: un’esperienza clinica

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Il mutismo elettivo ( o selettivo), è un disturbo dello sviluppo che può insorgere intorno i 2-3 anni. Per porre diagnosi di Mutismo Selettivo bisogna che siano presenti i seguenti sintomi: 

  • Il bambino non parla in determinati luoghi, come la scuola o altre situazioni sociali. Ma, il bambino parla normalmente nelle situazioni in cui si trova a suo agio, come nella propria casa. (Sebbene alcuni bambini possano essere muti in casa)
  • L’incapacità del bambino di parlare interferisce con la sua capacità di “funzionare” nel contesto scolastico e/o nelle situazioni sociali.
  • Il mutismo dura da almeno un mese.
  • Non sono presenti disturbi della comunicazione (come la balbuzie) e altri disturbi mentali (come autismo, schizofrenia, ritardo mentale).

 

Molti genitori ed educatori non sono preparati a riconoscere tale disturbo, e spesso forzano il bambino o la bambina, sottoponendolo , a volte inconsapevolmente, ad umiliazioni : “Guarda com’è spigliato lui. E tu?” oppure “Ti è caduta la lingua? Forza, recita la poesia!”.
Nulla di più sbagliato e deleterio, dato che il Mutismo Elettivo in realtà è un Disturbo d’Ansia.
Il bambino vorrebbe parlare, come del resto fa normalmente in altri contesti o con determinate persone, ma è letteralmente paralizzato dall’ansia e dalla vergogna.
 
 
 
 
Un’esperienza clinica
Un po’ di tempo fa venne da me una mamma perché la sua figlioletta di 4 anni  (che chiameremo M.) si rifiutava di parlare davanti ad estranei o membri più esterni della famiglia (zii, cugini, nonni). La mamma esordiva ogni volta  arrivata quasi sulla soglia dello studio con la frase: “Non fare la maleducata e saluta la dottoressa!”.Mi raccontava che a scuola era però spigliata poichè rideva e giocava con i compagnetti in maniera tranquilla. Nella prima seduta la bimba  non mi guardò né parlò. Seguivano i colloqui con la madre, durante i quali mi diceva con le lacrime agli occhi quanto fosse diversa la sua bimba a seconda dei contesti. Le chiesi cosa significava per lei il modo di fare di sua figlia e restò in silenzio a pensare per un minuto. La sua risposta era carica di delusione e preoccupazione, nonché di ansia da prestazione che tendeva a riversare su M. Seduta dopo seduta la bimba acquistò fiducia in me e mi degnò di qualche sguardo  e alcune  parole. Ma il vero cambiamento avvenne nella mamma, la quale capì che il suo modo di fare era opprimente e ansiogeno per M. Alla fine fu la madre stessa a dirmi che si sentiva più tranquilla e si poneva in maniera più serena nei confronti di M. La bimba a sua volta non sentiva più la pressione della madre e riusciva ad interagire , seppur in maniera minima, con parenti ed estranei.
 

CONCLUSIONE

Un intervento davvero efficace per tale problematica, non può prescindere dalla presa in carico dell’intero nucleo familiare.

Sul bambino bisogna intervenire con tecniche di rilassamento attraverso il gioco e il training autogeno, sostegno psicologico volto all’alfabetizzazione emotiva e sintonizzazione sullo stesso linguaggio usato (quello non verbale).

Sulla famiglia (o sul genitore accudente), bisogna intervenire fornendo le informazioni e il supporto psicologico adatto a (ri)conoscere tale disturbo, lavorare sull’ansia e l’insicurezza che caratterizza la relazione genitore-bambino e fornire dei suggerimenti e strategie utili atte a comunicare in maniera costruttiva ed efficace con il proprio bambino.

Ricordiamo, inoltre, che di fondamentale importanza è anche il lavoro d’informazione che si fa a scuola, dove l’insegnante deve essere informata e preparata a gestire tale evenienza in modo da facilitare l’uscita da questo disturbo e rafforzare l’autostima del bambino mutacico.

Rif. bibliografici: Rapaport- Ismond- DSM IV- Ed. Masson

 

Autore: Laura Muscarella, Psicologa Infantile

 

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