Io parlo attraverso il mio corpo

“Non si può non comunicare” enunciava il primo assioma del filosofo Paul Watzlawick; comunicare è parola, silenzio,  gesti e sguardi.

Parlare di comunicazione innanzitutto significa distinguere tra comunicazione verbale e comunicazione non verbale.

La comunicazione verbale propriamente quella della PAROLA, del SEGNO, non compare all’improvviso. La prima forma di comunicazione è quella legata al CORPO nel cosiddetto linguaggio tonico, punto di incontro tra biologico e psichico.

Nel bambino attraverso l’agire, il fare, l’azione, l’esperienza corporea, il contatto oculare, nei gesti deittici lui stesso “PARLA”. Il bambino impara a “parlare” con tutto il corpo, concepisce gli oggetti intorno a lui in relazione al suo corpo, nella sua attenzione congiunta e nella sua simbolizzazione concretizza le relazioni.

Nel bambino sono già forme di comunicazione le sue espressioni del volto, il suo sguardo orientato verso una direzione e un insieme di espressioni psico-motorie.

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È comunicazione il suo sorriso, da qui la definizione di sorriso sociale. Sono forme di comunicazione i suoi gesti, i suoi movimenti. È comunicazione la sua postura ovvero la posizione del suo corpo nello spazio. È comunicazione la direzione del suo sguardo verso un oggetto, una persona, una cosa. Sono forme di comunicazione le sue smorfie, il pianto, il vocalizzo e la lallazione, la sua richiesta di essere preso in braccio.

Il bambino, cosi, inizia il processo di costruzione del linguaggio mediante una serie di forme linguistiche che acquisisce, che fa sue, che utilizza mediante le esperienze che vive; si tratta perciò di esperienze educative, motorie, sociali, culturali, comunicative, affettivo – relazionali, che sono antecedente alla costruzione del linguaggio.

Solo dopo aver vissuto queste esperienze corporali, senso motorie, simboliche, concettuali si sviluppa il linguaggio verbale da un punto di vista filogenetico e ontogenetico.

Il bambino apprende la “lingua” del contesto socio-culturale in cui vive ed agisce.

La tappa del linguaggio verbale del SEGNO, della PAROLA è una funzione neuropsicologica: combinare a un suono (fonemi) un significato, rimandando cosi alla rappresentazione.

Concludendo, la psicomotricità è la base senza la quale il linguaggio verbale non sarebbe possibile.

Il linguaggio non verbale ovvero l’insieme dei gesti, del pianti, dei sorrisi sociali e della direzione dello sguardo corrispondono ad un “bisogno” del bambino che proprio in quel momento “chiede” all’adulto, all’educatore; da voce alla sua necessità e lo fa attraverso il corpo. Il corpo “parla” fin dai primissimi momenti di vita e il genitore, l’educatore attraverso il cogliere, il prestare attenzione e l’ascoltare con cura i suoi bisogni può soddisfarlo. Infatti, un pianto non è mai solo un pianto ma è il bisogno di qualcosa e attraverso un comportamento empatico tra genitore/bambino, educatore/bambino ogni gesto, sguardo, lallazione rafforza il suo significato. Il linguaggio del corpo dice molto di più del linguaggio verbale e solo attraverso una attenta osservazione si possono cogliere gli stati d’animo e le emozioni più nascoste di un bambino!

 

Dott.ssa Lidia Mancuso, educatrice . Mail: lidiamancuso@hotmail.it

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