Il concetto di trauma complesso ha assunto crescente rilevanza negli ultimi decenni, riflettendo la necessità di distinguere esperienze traumatiche prolungate e ripetute da eventi traumatici isolati. Parallelamente, la ricerca sulla resilienza ha offerto nuove chiavi interpretative per comprendere i processi di adattamento e recupero.
Questo articolo integra evidenze neuroscientifiche, psicologiche e cliniche per esplorare le prospettive terapeutiche emergenti nella cura del trauma complesso, con particolare attenzione agli approcci integrativi orientati alla regolazione emotiva, all’elaborazione narrativa e alla riparazione relazionale. Si evidenzia l’importanza di un modello terapeutico che, oltre a ridurre la sintomatologia, favorisca la costruzione di nuove risorse personali e relazionali nei pazienti con storie traumatiche cumulative.
Introduzione
La definizione di trauma complesso si riferisce a esperienze traumatiche cumulative, prolungate e relazionalmente mediate che si verificano tipicamente in età evolutiva, ma che possono proseguire o manifestarsi anche nell’età adulta (Herman, 1992).
Abusi cronici, trascuratezza grave, violenza domestica e prigionia psicologica sono esempi di tali condizioni.
A differenza del Disturbo Post-Traumatico da Stress (PTSD) legato a singoli eventi acuti, il trauma complesso comporta alterazioni pervasive dell’autoregolazione, dell’identità e della capacità di stabilire relazioni sicure. Le esperienze traumatiche ripetute minano infatti i sistemi neurobiologici e psicologici che supportano l’integrazione dell’esperienza e lo sviluppo della fiducia interpersonale.
Parallelamente, il costrutto di resilienza ha guadagnato rilevanza come espressione della capacità di mantenere o ritrovare un funzionamento adattivo malgrado avversità significative (Masten, 2014). Piuttosto che una caratteristica statica, la resilienza è oggi intesa come un processo dinamico influenzato da fattori individuali, relazionali e contestuali, che si modifica in base alle esperienze di vita, alle risorse disponibili e al contesto socio-culturale.
L’obiettivo di questo articolo è delineare l’interazione tra trauma complesso e resilienza, analizzando le implicazioni per la pratica clinica e le prospettive terapeutiche emergenti. Verranno esplorati i quadri teorici, le evidenze empiriche e le applicazioni pratiche utili a orientare l’intervento clinico con persone che presentano una storia di trauma cumulativo.
Il concetto di trauma complesso
Definizione e criteri diagnostici
Il Disturbo da Stress Post-Traumatico Complesso (C-PTSD) è stato formalmente introdotto nella Classificazione Internazionale delle Malattie (ICD-11; World Health Organization, 2018) come diagnosi distinta dal PTSD. I criteri includono i sintomi classici di rivivere l’evento, evitamento e iperarousal, ma aggiungono tre domini specifici: disregolazione emotiva persistente, convinzioni di svalutazione di sé e difficoltà interpersonali croniche. Questi sintomi riflettono l’impatto cumulativo di traumi ripetuti e relazionalmente mediati. Numerosi studi (Cloitre et al., 2013; Karatzias et al., 2017) hanno confermato la validità discriminante del C-PTSD rispetto al PTSD e la sua associazione con esperienze traumatiche precoci, quali abuso infantile, trascuratezza e violenza domestica.
Oltre alla definizione ICD-11, alcuni autori sottolineano la necessità di un assessment che consideri aspetti evolutivi e complessi della traumatizzazione, includendo la dissociazione, l’attaccamento disorganizzato e l’alessitimia (van der Kolk, 2021). Tali dimensioni richiedono una valutazione integrata e una formulazione del caso che tenga conto della storia di sviluppo e dei fattori relazionali interpersonali.
Impatti neurobiologici
Il trauma complesso comporta alterazioni significative in diverse reti cerebrali, incluse l’amigdala (iperattivazione), la corteccia prefrontale ventromediale (ipoattivazione) e l’ippocampo (riduzione volumetrica) (Teicher & Samson, 2016). Questi cambiamenti contribuiscono a una vulnerabilità persistente nella regolazione delle emozioni, nella memoria autobiografica e nella percezione di sicurezza. Ad esempio, l’iperattivazione dell’amigdala è associata a ipervigilanza e reattività emotiva, mentre la ridotta attività della corteccia prefrontale compromette l’inibizione delle risposte emotive disfunzionali.Studi recenti (van der Kolk, 2021) suggeriscono inoltre che l’attaccamento disorganizzato derivante da caregiving abusante o negligente amplifichi tali vulnerabilità, influenzando l’integrazione senso-motoria e interocettiva. La disregolazione del sistema nervoso autonomo e dell’asse ipotalamo-ipofisi-surrene (HPA) contribuisce a stati cronici di iperarousal o collasso, che si manifestano clinicamente come ansia, dissociazione o sintomi somatici. Tali evidenze giustificano l’importanza di approcci terapeutici che intervengano sia a livello cognitivo che neurofisiologico.
Resilienza: fattori e processi
Resilienza individuale
Fattori cognitivi (ottimismo realistico, flessibilità mentale), emozionali (competenze di regolazione affettiva), biologici (reattività moderata all’asse HPA) e comportamentali (problem solving, autoefficacia) contribuiscono allo sviluppo della resilienza personale (Southwick & Charney, 2018). La letteratura evidenzia l’importanza della mentalizzazione, ovvero la capacità di comprendere gli stati mentali propri e altrui, e della coerenza narrativa nella costruzione di un senso di sé resiliente. Interventi mirati a potenziare tali funzioni, come la terapia metacognitiva e la psicoterapia focalizzata sul senso di sé, risultano pertanto rilevanti nei pazienti traumatizzati.
Resilienza relazionale
Relazioni supportive, presenza di figure di attaccamento sicure e reti sociali coese rappresentano potenti fattori protettivi (Masten & Narayan, 2012). Nel caso di trauma complesso, la costruzione di relazioni riparative rappresenta un obiettivo terapeutico prioritario. L’alleanza terapeutica, intesa come relazione sicura e collaborativa, è un fattore predittivo di esito positivo nei trattamenti per il trauma (Cloitre et al., 2011). Inoltre, il coinvolgimento in comunità supportive, gruppi di mutuo aiuto e contesti di appartenenza contribuisce a rafforzare la resilienza relazionale e sociale.
Resilienza comunitaria
Contesti socio-culturali caratterizzati da coesione, norme pro-sociali e accesso a risorse educative e sanitarie favoriscono il recupero (Hobfoll et al., 2007). Questo elemento è cruciale nelle popolazioni esposte a traumi collettivi o strutturali, come rifugiati, vittime di disastri naturali o sopravvissuti a violenze di massa. Interventi di comunità, politiche inclusive e programmi di promozione della
salute mentale collettiva si configurano come strumenti essenziali per sostenere i processi di resilienza.
Prospettive terapeutiche emergenti
Interventi bottom-up e top-down
Approcci integrativi che combinano tecniche bottom-up (orientate al corpo e alla regolazione neurofisiologica) e top-down (lavoro cognitivo-narrativo) mostrano efficacia nel trattamento del trauma complesso (Ogden et al., 2006). Tra questi:
– EMDR (Eye Movement Desensitization and Reprocessing): facilita la rielaborazione adattiva delle memorie traumatiche attraverso la stimolazione bilaterale.
– Terapia Sensomotoria: integra la consapevolezza corporea e l’elaborazione somatica per regolare gli stati emotivi e reintegrare le esperienze dissociate.
– Mindfulness-Based Interventions: favoriscono la consapevolezza non giudicante degli stati interni, riducendo l’iperarousal e migliorando la regolazione emotiva.
– Terapie focalizzate sull’attaccamento: mirano a riparare i modelli relazionali disfunzionali, promuovendo sicurezza, fiducia e coerenza interpersonale.
Interventi orientati alla resilienza
Programmi focalizzati sul rafforzamento delle competenze resilienti, come lo Skills Training in Affective and Interpersonal Regulation (STAIR), si sono dimostrati utili per migliorare la regolazione emotiva e la qualità delle relazioni (Cloitre et al., 2010). Tali interventi combinano training sulle competenze affettive, consapevolezza interpersonale e ristrutturazione cognitiva.
Ulteriori approcci includono protocolli basati sull’accettazione e l’impegno (ACT), la terapia narrativa e la terapia metacognitiva interpersonale.
Interventi basati sulla natura e la mindfulness
Studi emergenti (Jordan & Hinds, 2016) indicano che attività outdoor, terapia assistita con animali e pratiche contemplative in natura possono sostenere processi di autoregolazione, grounding e coerenza emotiva. La cosiddetta ecoterapia promuove il recupero della connessione con il contesto naturale, facilitando il rilassamento, la riduzione dello stress e l’aumento della coerenza cardiaca. Interventi come la forest therapy, il giardinaggio terapeutico e la mindfulness in natura si configurano come strumenti complementari efficaci nei trattamenti per il trauma complesso.
Conclusioni
Il riconoscimento del trauma complesso come entità distinta ha implicazioni significative per l’assessment e l’intervento clinico. La prospettiva della resilienza offre un quadro arricchente per progettare trattamenti che vadano oltre la semplice riduzione dei sintomi, puntando al rafforzamento delle risorse e alla riparazione delle competenze relazionali. Approcci integrativi e innovativi si configurano come promettenti frontiere per la psicoterapia dei pazienti con storie traumatiche cumulative. L’integrazione di interventi neurofisiologici, narrativi, relazionali e ambientali consente di rispondere alla complessità dei bisogni di tali pazienti, promuovendo un recupero sostenibile e una rinnovata fiducia nella vita e nelle relazioni.
Autrice : Beatrice Leonello – Psicologa
Bibliografia
Cloitre, M., Courtois, C. A., Charuvastra, A., Carapezza, R., Stolbach, B. C., & Green, B. L. (2011). Treatment of complex PTSD: Results of the ISTSS expert clinician survey on best practices. Journal of Traumatic Stress, 24(6), 615–627.
– Cloitre, M., Garvert, D. W., Weiss, B., Carlson, E. B., & Bryant, R. A. (2013). Distinguishing PTSD, complex PTSD, and borderline personality disorder: A latent class analysis. European Journal of Psychotraumatology, 5(1), 25097.
– Herman, J. L. (1992). Trauma and recovery: The aftermath of violence—from domestic abuse to political terror. Basic Books.
– Hobfoll, S. E., et al. (2007). Five essential elements of immediate and mid-term mass trauma intervention: Empirical evidence. Psychiatry, 70(4), 283–315.
– Jordan, M., & Hinds, J. (2016). Ecotherapy: Theory, research and practice. Macmillan.
– Karatzias, T., et al. (2017). Psychological interventions for ICD-11 complex PTSD symptoms: Systematic review and meta-analysis. Psychological Medicine, 49(11), 1761–1775.
– Masten, A. S. (2014). Ordinary magic: Resilience in development. Guilford.
– Masten, A. S., & Narayan, A. J. (2012). Child development in the context of disaster, war, and terrorism. Annual Review of Psychology, 63, 227–257.
– Ogden, P., Minton, K., & Pain, C. (2006). Trauma and the body: A sensorimotor approach to psychotherapy. Norton.
– Southwick, S. M., & Charney, D. S. (2018). Resilience: The science of mastering life’s greatest challenges (2nd ed.). Cambridge University Press.
– Teicher, M. H., & Samson, J. A. (2016). Annual research review: Enduring neurobiological effects of childhood abuse and neglect. Journal of Child Psychology and Psychiatry, 57(3), 241–266.
– van der Kolk, B. (2021). Il corpo accusa il colpo. Raffaello Cortina Editore.
– World Health Organization. (2018). ICD-11: International classification of diseases 11th revision.
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