GIOIA O FELICITA’ ?

Da alcuni anni si distingue tra emozioni a valenza negativa, perché accompagnate da stati psicologici di malessere, sofferenza e disagio, ed emozioni a valenza positiva, perché piacevoli per il soggetto che le prova.

Tali emozioni, che appartengono alla medesima area semantica della riuscita e realizzazione di scopi (Johnson-Laird e Oatley 1989), sono la gioia, la felicità, l’allegria, la contentezza, l’euforia, l’orgoglio o la soddisfazione.

 

gioia

 

Qui di seguito ci soffermeremo su quelle maggiormente indagate in psicologia dello sviluppo: la gioia e la felicità.

Spesso i due termini vengono usati in modo interscambiabile, forse perché quando si tratta di designare emozioni positive il linguaggio è meno ricco e si presta a maggiori ambiguità concettuali (Storm, Jones e Storm, 1996), ma c’è una differenza fondamentale: la gioia si caratterizza per essere improvvisa, accompagnata da un forte stato di attivazione (con accelerazione della frequenza cardiaca, aumento del tono muscolare, aumento della conduttanza della pelle, irregolarità respiratoria) e per essere piuttosto intensa; la felicità, invece, risulta essere una condizione di appagamento nei riguardi della vita (Argyle, 1987), uno stato emotivo di benessere collegato alla quantità ed intensità di eventi positivi che ogni individuo si trova a vivere nel corso del tempo.

In questo senso, è evidente la differenza con la gioia: come scrive Natoli (2000), non è infatti nell’attimo che risiede la felicità, ma al contrario, la si guadagna nel corso di una vita intera, realizzando a pieno la propria esistenza.

Ma vediamo nello specifico entrambe le emozioni:

 

LA GIOIA

Il sorriso sociale (Sroufe), che fa la sua comparsa tra il secondo e il terzo mese di vita, è un collante importantissimo nella costruzione del legame affettivo tra il bambino e chi si prende cura di lui e prepara l’emergere della gioia. A partire dal quarto mese, si può parlare di una vera e propria espressione di gioia, come intenso stato di piacere e soddisfazione che si verifica ad esempio quando il piccolo e la madre sono impegnati in uno scambio proto conversazionale, ovvero in uno scambio interattivo, e in un gioco di sguardi.

Tuttavia, verso la fine del primo anno di vita la gioia del bambino viene sempre più collegandosi non tanto ad un evento in sé, quanto al significato personale che l’evento assume per il bambino, ad esempio di ricongiungimento con la madre dopo la separazione al nido o di conquista di un gioco desiderato e in precedenza inaccessibile.

Se la gioia, nelle sue forme caratteristiche, si manifesta nell’infante in seguito alla gratificazione dei bisogni essenziali, con la crescita e lo sviluppo psicologico appare sempre più come emozione che segue alla soddisfazione di un desiderio e alla realizzazione di uno scopo.

Causa di gioia divengono quegli eventi che comportano una certa dose di sorpresa e di aurosal (attivazione fisiologica) del soggetto, come riuscire ad ottenere un giocattolo, compiere un esercizio fisico, vincere in una competizione.

 

LA FELICITA’

La felicità ha come condizione la “riuscita”, intesa come realizzazione dei propri obiettivi o scopi nella vita quotidiana; dal punto di vista evolutivo, lo psicologo americano Oatley (1992), sottolinea che la felicità si ha nel creare e conservare legami di attaccamento positivi e nel corso dello sviluppo viene sperimentata nelle relazioni di tipo amoroso e cooperativo.

Anche lo psichiatra e psicoterapeuta Liotti (2005), nell’ambito della teoria dei sistemi motivazionali interpersonali, sottolinea come si provi felicità con l’avvicinamento o il raggiungimento della meta, nei sistemi di attaccamento, accadimento, cooperazione e sessuale.

Dai vari studi effettuati da psicologi dell’età evolutiva, emerge che la felicità è provata dai bambini prevalentemente nel contesto delle relazioni familiari e amicali; dai preadolescenti nel contesto dei gruppi con i pari e può essere associata al successo scolastico; dagli adolescenti invece è un’esperienza collegata, in ordine decrescente di frequenza, alle relazioni amicali, alla riuscita sportiva e scolastica, al raggiungimento di obiettivi perseguiti, alle relazioni sentimentali, al divertimento e alla spensieratezza e, infine, alle relazioni familiari.

Nella tarda adolescenza, tuttavia, cresce la frequenza di situazioni sentimentali e amicali come causa di esperienze di felicità, che nei giovani adulti si allarga a comprendere esperienze lavorative e di vita sociale, culturale ed estetica.

 

Appurate le differenze tra queste due bellissime emozioni , non resta che metterle in pratica!

Autrice : Federica Di Rienzo, Psicologa dello Sviluppo

Riferimenti bibliografici:

  • Ilaria Grazzani Gavazzi, Psicologia dello sviluppo emotivo, Il Mulino, Bologna.

Lascia un commento

Il tuo indirizzo email non sarà pubblicato. I campi obbligatori sono contrassegnati *

Questo sito usa Akismet per ridurre lo spam. Scopri come i tuoi dati vengono elaborati.